Dopo il confusionario Civil War, che mostrava pregi e difetti del cinema di Alex Garland (premesse interessanti, buona mano registica, script che dopo l’esposizione del concept brillante difettano nello sviluppo e nelle conclusioni), Warfare si presenta come il banco di prova per il regista/sceneggiatore inglese.
Per una volta infatti Garland si è limitato a essere mero esecutore e co-autore di un progetto partito dall’esperienza diretta di Ray Mendoza, ex soldato e da tempo consulente bellico per l’industria cinematografica. Come ripetuto in mille interviste, infatti, il film racconta un episodio di guerra realmente accaduto, sulla base sia di un lavoro di scavo mnemonico di Mendoza che di ricerca sulle testimonianze dirette e indirette dei protagonisti.
Warfare: la trama
Warfare è per l’appunto la cronaca in tempo (praticamente) reale di quanto accaduto a Ramadi dopo che un’unita di Navy SEAL dell’esercito statunitense si asserragliò nella casa di una famiglia irachena, prelevata di forza, per offrire supporto e protezione alle truppe di stanza, impegnate in un’operazione importante. Il manipolo di soldati fu quindi vittima di un’imboscata da parte dei locali, dovendo così richiedere aiuto per scampare a un assedio sempre più prossimo a trasformarsi in una carneficina.
Film di guerra, ma di certo non un film d’azione, incentrato molto più sull’attesa snervante carica di tensione e sulla frenesia caotica del momento, piuttosto che sulla coreografia ipercinetica e sul piacere dell’esplosione, Warfare vive del proposito della coppia Garland/Mendoza di offrire un’esperienza quanto più vicina alle sensazioni estreme vissute dall’unità di cui il secondo faceva parte.
Warfare: un film di guerra, o la guerra in un film
E in effetti bisogna sottolineare quanto più possibile il lato esperienziale del film, che per la sua quasi interezza aderisce al punto di vista dei soldati americani, in modo addirittura epidermico, facendone percepire confusione, smarrimento, paura e dolore insopportabile quando la carne viene straziata dalle ferite.
Privo di espedienti narrativi di facile presa come archi di trasformazione dei personaggi, sottolineature drammaturgiche tipo commenti musicali o momenti di alleggerimento (ma non privo di alcuni tocchi psicologici forniti a tutto il cast), il film in fondo mantiene il proposito espresso da Mendoza nel momento in cui Garland, conosciutolo sul set di Civil War, gli aveva proposto di mettere in scena una storia proveniente dal campo di battaglia: fornire una testimonianza / ricostruzione affidabile di quanto accaduto al medico/cecchino Elliot, gravemente ferito durante l’operazione e totalmente immemore di quegli istanti.
Garland, guidato dai ricordi e dalle competenze specialistiche di Mendoza, può così esibire muscolarmente tutto il proprio sapere tecnico, distillando un sapiente uso degli spazi, ricostruendo fedelmente in studio l’isolato in cui si scatena l’inferno, puntando molto su un sound design potente e frastornante abbinato a silenzi insopportabili; e, banalmente ma puntualmente, ribadendo – qualora necessario – l’orrore fisico e psicologico rappresentato della guerra per tutti i coinvolti per una volta tirando dritto senza inutili ammennicoli metaforici di dubbio gusto (si veda Men).
Dal terrore degli occupati alle crisi di ansia dei soldati, alcuni dei quali piombano in uno stato semi-vegetativo dopo i primi scontri, passando per il trattamento spietatamente utilitaristico degli alleati locali, Warfare non fa sconti a nessuno e se sul finale celebra i Navy SEAL sembra farlo più per omaggio a coloro di cui si è raccontata la storia che per mera propaganda bellico/imperialista.
Rimane un dubbio sull’operazione, nata a onor del vero “senza finalità editoriali” (affermazione a cui si può credere solo parzialmente, in ogni caso): che fare di questo oggetto cinematografico? Difficile dire che Warfare ci sveli un lato inedito del conflitto iracheno, né aggiunge poi molto a una filmografia di genere che poteva vantare Salvate il soldato Ryan – in termini di orrore – e Black Hawk Down – cronaca di un assedio; al di là dell’introduzione, unico momento rilassato del film, sarebbe forse servito conoscere meglio i soldati per poterne trarre una vera esperienza estetica, anche al di fuori del portato psicologico.
Comunque sia, non è mai detto che tutti abbiano visto tutto e quindi Warfare rimane un film bellico di buon valore, l’antidoto a chi fomenta il conflitto e – forse, maliziosamente – la prova che Garland potrebbe iniziare a farsi scrivere i film…
🎬 WARFARE
🏷 in sala dal 21 agosto con I Wonder Pictures
🎥 diretto da Alex Garland & Ray Mendoza