️CASSANDRA
creata e diretta da Benjamin Gutsche
Sarebbe stato bello raccontare di Cassandra, miniserie alemanna ora su Netflix, come di una stoccata, una piccola perla inaspettata, ma si può davvero ancora parlare di tecnologia e rischi senza sforare nel già visto e già detto?
Scomodiamole tutte – Black Mirror, Her, Ex Machina – in fondo sono evidenti i parallelismi: una parte umana che tende al meccanico e che spera di poter fare scaccomatto all’esistenza, di fronte un’espressione robotica che tende all’umano quasi a volersi incontrare in un punto medio.
Benjamin Gutsche ha ideato un sistema narrativo alternato, carino, che funziona e scorre coerente sia nella fotografia sia nella regia ma che forse mostra troppo. Forse tutto.
Gli esiti sono individuabili praticamente dalla seconda puntata e se non fosse per la classica elegia americana, familiare, piena di incidenti di percorso ,probabilmente non avremmo avuto nemmeno 6 puntate.
Le similitudini con lo Sheldon-robot inizialmente venivano da sole ed era difficile restare sul dramma, gli smascheramenti sono repentini e il modo in cui le sotto trame – un padre distratto, una madre in lutto e confusa, un figlio maggiore con molte risorse e una sorellina che fa da termometro alla famiglia – provano a dare vascolarizzazione al core centrale fallisce. Proprio su Juno riescono i migliori espedienti orrifici ed emotivi che mettono in risalto chi condivide la scena con lei in quel momento.
“Cassandra” è un esperimento che ha compresso in 6 puntate temi di uno spessore enorme, ma forse lo spazio a disposizione era poco o forse alla storia della stessa Cassandra sarebbe servito un adagio invece di una sinfonia; d’altro canto prodotti come Love, Death + Robots e Secret level ci hanno insegnato che è possibile liofilizzare grandi racconti e renderli novelle. Purtroppo non è stato questo il caso.