Quante volte abbiamo dato per spacciato un regista a causa di una serie di film poco riusciti e un’età avanzata che non lasciava adito alla speranza di una ripresa? Al sottoscritto è colpevolmente capitato con David Cronenberg, che dopo Map to the Stars e Crimes of the Future – satira spompata della fama hollywoodiano il primo, stanco riassunto di carriera il secondo – stava per salutare rispettosamente un maestro.
Con The Shrouds il cineasta canadese affina la sua idea e la sua pratica di cinema, sempre più asciutta e meno interessata ai formalismi, come accade spesso ai registi “âgé” e realizza un film scarno ma bruciante.
Anche perché, non è un mistero, l’ultima pellicola di Cronenberg ha una forte origine autobiografica, mettendo in scena un Vincent Cassel fondatore di una startup funebre, esteticamente identico al regista e distrutto dalla morte della moglie, che tenta di elaborare creando una tecnologia, con tanto di app, che permette di osservare il corpo privo di vita e la sua dissoluzione attraverso un sudario-sistema di sorveglianza.
Ancora una volta, quindi, al centro dell’interesse di Cronenberg c’è il rapporto trasformativo tra tecnologia e corpo, quest’ultimo unico recipiente di emozioni e sentimenti dei viventi, nonché solo portatore di verità: la mancanza che avverte il tecnocrate è infatti in primis quella per il corpo della moglie, interpretata da una Diane Kruger in un doppio ruolo (è infatti anche la sorella della defunta).
Oltre alle solite riflessioni, il film, che in tutto e per tutto si può considerare un melodramma della perdita, è attraversato da un senso di sfiducia, sottilmente veicolato dall’ironia nera che lo pervade, verso la digitalizzazione dell’esperienza umana, anche in termini di elaborazione del lutto.
La parte meno riuscita di The Shrouds, che esibisce lo stile freddo e dissociato delle ultime opere, interrotto da morbose sequenze oniriche, è probabilmente il proliferare di teorie del complotto come false piste, da non prendere troppo sul serio ma che occupa buona parte della seconda metà, spazzate solo da un finale particolarmente ambiguo che ci lascia con un interrogativo: (quanto) amiamo una persona reale o (inevitabilmente) ciò che permane di lei nella nostra coscienza?
Cronenberg come sempre non dà risposte facili ma The Shrouds, in cui comunque sono presenti momenti poco riusciti, scivolate di sceneggiatura, attimi in cui la mano registica è meno che salda, rappresenta finalmente un tassello riuscito di un corpus che come pochi ha affondato il bisturi in quel groviglio di nervi, budella, sentimenti e falsificazione che è l’essere umano.
a cura di Alessio Cappuccio