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The Bear – stagione 4: recensione

the bear stagione 4 recensione

Rispetto a un film, le serie tv permettono un arco di trasformazione dei personaggi molto più profondo, strutturato, completo. Non sempre è efficace, anzi a volte può essere un fallimento completo, ma i tempi dilatati di un telefilm permettono ai personaggi un respiro maggiore, uno spazio per crescere ed evolversi – non sempre per il meglio.

Quando è uscita la prima stagione di The Bear abbiamo urlato (quasi) tutti al capolavoro. I nostalgici di Shameless hanno visto nel ritorno di Jeremy Allen White il sequel apocrifo della serie tv di Showtime – e a pensarci bene il personaggio di Carmy Berzatto somiglia incredibilmente a quello di Lip Gallagher (nel bene e nel male).

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The Bear: dove eravamo rimasti

Protagonista a parte, The Bear ha avuto successo non solo perché è uscito in un periodo in cui le storie ambientate nelle cucine (stellate e non) hanno una risonanza incredibile; The Bear ha avuto successo perché poche serie tv riescono a rappresentare la vita in un modo così intenso e brutale (seppur nelle sue patinature tipiche delle serie tv). I personaggi si portano dietro storie fallimentari e difficili da rattoppare, anche quando sembrano avere successo.

Lo stesso Carmy, che lascia un ristorante stellato per tornare a lavorare nella paninoteca del fratello morto, è una persona che apparentemente ha avuto tutto ciò che desiderava dalla vita, ma il cui passato è talmente ingombrante da rendergli impossibile un’esistenza serena nel presente – figurarsi nel futuro.

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Se la prima stagione ha posto le basi per questo racconto, è nella seconda stagione che tutto prende magicamente forma: i personaggi si staccano, uno per uno, dallo sfondo per dare vita a un racconto corale, drammatico e per certi versi poetico che trasforma The Bear in qualcosa di molto più profondo, che culmina nell’episodio 6 della seconda stagione, una sorta di “Bubble Episode” autoconclusivo, in cui Carmy e la sua famiglia si mettono completamente a nudo e finalmente anche noi riusciamo a specchiarci al loro interno. Il risultato è straziante ma anche incredibilmente terapeutico.

E come ogni percorso di psicoterapia che si rispetti, la terza stagione cambia completamente tono, illudendoci quasi che un lieto fine è possibile. Le colpe sono state espiate, le pene sono state scontate, la vita può scorrere di nuovo e finalmente (?) il grande sogno (??) di Carmy di trasformare la paninoteca del fratello in un ristorante gourmet (???) si avvera. Purtroppo. Purtroppo perché se c’è una cosa che insegna la psicoterapia è che non basta guardare in faccia i demoni per combatterli: a volte serve abbracciarli e avvolgerli in una coperta, perdonarli e fare i conti con la loro esistenza, al punto da accettare di dover funzionare anche con loro accanto. Nonostante loro accanto. E finché Carmy non fa i conti con questa cosa non ci sarà niente nella sua vita che funzionerà davvero.

The Bear: la recensione della 4° stagione

La quarta stagione di The Bear si apre con una recensione negativa al ristorante e un out-out imposto da Uncle Jimmy, un caro amico di famiglia che ha scelto di finanziare le spese del ristorante. Se The Bear non salda i suoi debiti dovrà chiudere. Un altro fallimento, dunque. L’ennesimo. Ma forse è anche un’opportunità, per tutti ma soprattutto per Carmy, non solo di guardare in faccia quei demoni ma anche di perdonarli e andare oltre.

Sul muro del ristorante troneggia, fin dalla prima stagione, una scritta: Every Second Counts. Ogni secondo conta. E mai come in questo caso è una frase provvidenziale. Carmy ha i secondi contati o il suo sogno si sgretolerà sotto i suoi piedi. Non solo: Carmy ha i secondi contati o la sua vita continuerà a farsi trascinare indietro dal suo passato, dal suo dolore, dai suoi fallimenti. Mai come oggi, quindi, è fondamentale alzare il culo, lavarsi la faccia e andare a prendere un caffè con il proprio demone (nel caso di Carmy è sua madre), non tanto per accettare le sue scuse, quanto per capire che in fondo non sono necessarie. Perché a volte per vivere abbiamo bisogno di morire e in questo caso morire vuol dire semplicemente lasciarsi andare. Lasciare andare – nel nome di un bene comune. Per amore di quel bene comune.

Potremmo stare qui ore a decantare la perfezione estetica di The Bear, le interpretazioni incredibili di tutti i personaggi, il talento indiscusso degli sceneggiatori che sono riusciti a dare vita a un racconto duro, puro e incredibilmente “relatable”. Potremmo farlo, ma sarebbe ridondante, perché se c’è una cosa che rende questo telefilm perfetto non è (solo) la sua indiscutibile qualità: se The Bear è LA serie di cui avevamo bisogno è perché finalmente abbiamo la possibilità di sederci davanti alla tv, completamente nudi (se volete anche in senso letterale, chi siamo noi per giudicarvi?), e fare i conti con noi stessi prima che con loro. E in tempi come questi, riuscire a guardarsi dentro e non distogliere lo sguardo è un lusso che pochi possono permettersi. Quasi quanto un ristorante stellato. Quasi quanto The Bear.

🐴 THE BEAR – 4* STAGIONe
🏷 in streaming dal 26 giugno su Disney+
🎥 creata da Christopher Storer

Autore

  • Luna Saracino

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Data pubblicazione: 07/16/2025
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Tag

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