Cosa si nasconde dietro il microcosmo che abita la Stazione Termini di Roma? Quali sono i vissuti degli “invisibili”? Come si nutrono? Come costruiscono le loro relazioni? Queste sono alcune delle tante domande che si pone il bellissimo documentario “San Damiano”, diretto da Gregorio Sassoli e da Alejandro Cifeuntes.
Partiamo col dire che i due registi, prima di cimentarsi nella regia di quest’opera, avevano in mente di girare un lungometraggio di finzione con protagonista una donna e, per farlo, hanno passato un periodo di tempo proprio nei pressi della Stazione Termini in modo tale da informarsi al meglio sulla vita che popola il grande scalo. Hanno svolto sicuramente un ottimo lavoro in quanto i volti, gli sguardi, i modi di vivere rappresentati nel documentario raccontano davvero tanto dell’esistenza travagliata della gente di strada.
È un lavoro magistrale, simmetrico e fatto con delicatezza. Le immagini scorrono sul grande schermo come poesia e i colori vivaci delle mille realtà sfiorano i cuori degli spettatori lanciando messaggi di pace, armonia, ma anche di violenza e sofferenza.
Il protagonista, Damian, è un trentacinquenne fuggito da un ospedale psichiatrico polacco, venuto a Roma in cerca di una nuova vita e con una cinquantina di euro in tasca. Le prime immagini del film sono estratti di video presi dal suo tablet personale e ritraggono la Stazione Termini vista dall’alto. Ma Damian non se ne sta con le mani in mano. Riesce infatti a trovare subito una sistemazione in cui poter dormire: una torre delle mura Aureliane nel quartiere di San Lorenzo.
Ad accompagnarlo in questa sua avventura romana ci sono altre vite segnate de un passato burrascoso, tra queste spicca sicuramente Sofia, una donna tenace e fragile nello stesso tempo. Ciò che la accomuna a Damian sono le esperienze di vita dolorose e la rabbia celata nell’affrontare una società che non li considera, non li vuole, li esclude.
E come affrontano questo ripudio? Sentendosi animali in gabbia? No, lo fanno vivendo al massimo la propria esistenza, battendosi per un panino, facendo a botte per una donna, vivendo allo sbando, pisciando sopra un motorino, dormendo su materassi sporchi e puzzolenti ma, soprattutto, bevendo alcolici e abusando di sostanze stupefacenti, che periodicamente si iniettano in vena. In fondo, per poter affrontare al meglio il regno della strada, non si può fare altro che intossicarsi di eroina.
Il documentario non lascia spazio all’immaginazione, ci mostra la realtà nuda e cruda: il sesso, la violenza, la gioia e il dolore. Si potrebbe paragonare un lavoro del genere ad una delle tante opere di Pasolini, chi meglio di lui sapeva descrivere in modo totalmente autentico e viscerale gli animi umani dei cosiddetti “ultimi”?
Damian è un personaggio pasoliniano a tutti gli effetti. Sicuramente è molto affascinante e con i suoi sbalzi di umore intrattiene molto bene il pubblico in sala. Da ricordare inoltre la sua passione per la musica, all’interno del documentario lo si può osservare mentre canta a squarciagola canzoni italiane di interpreti come Nek e Coez.
Oppure quando, grazie ai due registi del documentario, entra in contatto con un gruppo di musicisti che lo mettono subito all’opera facendogli cantare e registrare canzoni da lui scritte. Damian è innanzitutto un artista segnato dalla vita. E ciò che un osservatore potrebbe fare è identificarsi in lui, oppure tenerlo alla larga, per paura di venirne contagiato.
Non c’è un modo corretto di vedere le cose, ma sicuramente quello che chiedono Gregorio Sassoli e Alejandro Cifeuntes è l’assenza di giudizio. Solo così si può fare un lavoro di introspezione e accogliere ciò che è diverso da noi stessi.
🛕 SAN DAMIANO
🎥 diretto da Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes
🎞 in sala dal 10 aprile con Red Sparrow