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Nuhai – Girl: recensione

nuhai girl recensione poster

Shu Qi è con ogni probabilità uno di quei volti e quei corpi stampati negli occhi di ogni cinefilo: il suo sguardo febbricitante, mentre nell’incipit di Millennium Mambo attraversa un tunnel, è qualcosa che è entrato a far parte della storia del cinema. Stupisce poco quindi che per il suo esordio alla regia (l’unico in concorso a Venezia 82!) l’attrice taiwanese abbia scelto di riprendere quella scena e omaggiarla con un simile incipit, questa volta però mettendovi al centro due giovanissime ragazze.

In Nuhai – Girl si sente fortissima l’influenza che i maestri del cinema di Taipei hanno esercitato, consciamente o meno, sul senso di messa in scena della loro musa: Hou Hsiao-hsien e Tsai Ming-liang sono riferimenti evidenti del film, soprattuto per quanto riguarda ritmo, sguardo e attenzione al contesto in cui sono immersi i personaggi, che ha tutto l’aspetto di un racconto autobiografico, fatta passare attraverso il filtro nebuloso della memoria.

Ambientato a metà degli anni ’80, il film racconta infatti il processo di cresciuta della giovane Hsiao-lee, vittima di una situazione pesante in famiglia (padre alcolizzato violentissimo, madre succube, con lei dura ma per necessità) che si riverbera nella difficoltà relazionale con i coetanei e la solitudine vissuta al di fuori del rapporto con la sorellina. L’arrivo di una quasi omonima e smaliziata compagna di scuola, che la prende subito in simpatia, innescherà in lei un cambiamento necessario che la porterà a mettere in discussione lo status quo.

Come ogni esordio, anche Girl esibisce la bulimia tipica delle opere prime: se l’incipit ha una qualità onirica e impressionistica interessante, punteggiata da veloci lampi surreali, dilatata dalla sua distensione temporale incongrua rispetto alle azioni, e immerso in una luce saturata (che involontariamente ricorda un filtro Instagram), tutta la prima parte di setting non aiuta molto a mantenere desta l’attenzione, ripetendo alcuni stilemi fin troppo noti agli appassionati di cinema orientale. La violenza cieca e sorda del padre, lo stoicismo silente della madre, l’afasia e il broncetto della protagonista ricordano mille altre pellicole.

Manca dunque un tocco personale organico, ma sono giuste le ambientazioni e le intuizioni (ottima l’idea dell’armadio di plastica in cui si richiude la ragazza per sfuggire alle percosse del padre), almeno fino a quando l’ingresso dell’amica di Hsiao-lee dona una dimensione più distesa, fresca ed empatica alla trama, per quanto pur sempre nel solco di una narrazione derivativa.

A Shu Qi quindi non difettano le qualità della regista e probabilmente nei tanti piccoli tocchi caratterizzanti c’è una qualità di verosimiglianza innegabile che deriva dalla sua diretta esperienza di ciò che racconta: la difficoltà di essere donna in un contesto in cui la tradizione aveva ancora un fortissimo peso, l’appartenenza a una famiglia in condizioni socio-economiche disastrate, il rapporto difficile con la madre, la concretezza dei gesti che intercorrono tra i personaggi.

Staremo dunque a vedere se l’attrice-regista riuscirà a smarcarsi dai propri riferimenti – la pioggia torrenziale del pre-finale, per esempio – rielaborandoli in modo tale da approdare a un’idea di cinema maggiormente personale. Per ora si sono visti i germogli di uno sguardo interessante, ma altre cose come la direzione degli attori – molto convenzionale – e una certa inconsistenza di alcuni personaggi lasciano supporre che la regista debba ancora mettersi in discussione per arrivare a poter essere considerata un’autrice.

Autore

  • Alessio Cappuccio

    Alessio Cappuccio si è laureato in Letteratura Moderna presso l'Università degli Studi di Milano con una tesi sulla trilogia dei colori di Krzysztof Kieslowski.

    Nel frattempo ha iniziato a scrivere sul portale di informazione web Blogosfere nella sezione spettacoli, per cui è stato anche inviato durante la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e la Festa del Cinema di Roma.

    Nel corso della sua carriera ha lavorato e collaborato con una serie di realtà editoriali come Leonardo.it, Triboo, Studentville, ScuolaZoo, Milano e Roma Weekend, Londra da vivere spaziando dalla politica al tempo libero, la scuola, le nuove tecnologie, con un occhio di riguardo al cinema, sua vera passione.

    Dopo un Master in Critica Giornalistica presso l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico, e una parentesi da videomaker, si è trasferito in pianta stabile a Roma, dove co-dirige Popcorn&Podcast, il più grande e autorevole podcast di cinema dell'universo.

    In genere non parla di sé in terza persona.

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Data pubblicazione: 09/05/2025
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