Pochi registi hanno saputo interrogarsi e interrogare il mondo contemporaneo con la stessa lucidità e costanza di Steven Soderbergh, il quale ama spesso travestire le proprie analisi sotto la veste del cinema di genere – in questo caso il film di spionaggio. Con Black Bag infatti il cineasta firma l’ennesimo manuale di geometria delle relazioni umane, uno studio molto fisico di spazi e corpi (gli agenti speciali) inserito all’interno di tensioni potenzialmente molto astratte come quelle geopolitiche.
Soderbergh però non si limita a svuotare la tipica narrazione da spystory, riducendola all’osso, ma la cavalca sia per mettere in scena un melodramma coniugale (e fin qui qualche esempio lo si poteva ritrovare) sia per allestire una riflessione cinica e spietata sulle dinamiche relazionali su un posto di lavoro (con qualche collegamento con il The Killer di Fincher, con cui non a caso condivide il protagonista Michael Fassbender).
Non è affatto un caso che i protagonisti di Black Bag siano spie che, per quanto glamour e dall’addestramento iper-specializzato, sono persone comuni che concepiscono il proprio mestiere come un compito quotidiano, ripetitivo, all’insegna di riunioni, protocolli, trasferte e comunicazioni criptate… ma anche relazioni sentimentali in ufficio, simpatie e antipatie con colleghi e dirigenti, nonché divergenze sul modo di intendere il lavoro.
A questo proposito una parte centrale del film, forse quella più spettacolare, è rappresentata dalle scene conviviali, trasformate in duelli psicologici all’ultima menzogna, in cui la vittoria è dalla parte di chi sa gestire meglio la propria poker face e ogni gesto, esitazione, espressione facciale diventa cruciale Allo stesso modo anche il melodramma coniugale, tutto giocato a cavallo tra fiducia e tradimento, non può che risolversi nell’espletamento delle proprie mansioni lavorative.
Per far ciò il regista si serve di un’eleganza glaciale e al contempo sensuale, costruendo una messinscena in cui ogni aspetto tecnico — dalla fotografia calibratissima ai movimenti lenti della macchina da presa, dal montaggio chirurgico a una colonna sonora di jazz digitale, pulsante e ironica, — è posto al servizio di un’atmosfera di sospetto, conflitto sotterraneo, seduzione e desiderio.
Probabilmente Black Bag non è il film che potrà soddisfare chi si aspetta un film d’azione – le scene così caratterizzate sono davvero poche – o chi non apprezza l’austerità programmatica di Soderbergh, o ancora chi non è abituato a filtrare il senso di un’opera tra le pieghe delle convenzioni del genere. E però il cinefilo potrebbe negare l’estremo piacere cinematografico donato dalla visione di un vero maestro che, nonostante sia tra i più tecnici in circolazione, ha l’ardore (insieme allo sceneggiatore David Koepp) di ricordarci come, nell’epoca del furto di dati digitali a scopo strategico, le informazioni più preziose rimangano legate all’incontro in carne e ossa, sensibile e intimo, sempre preda della vulnerabilità umana?
🧑✈️ BLACK BAG
🎥 diretto da Steven Soderbergh
🎞 in sala dal 30 aprile con Universal Pictures Italia