In concorso agli Oscar come miglior film straniero, il film distribuito da Mubi ci riporta alle atmosfere crudeli e spietate di scuola Michael Haneke (altezza Il Nastro bianco), ispirandosi molto liberamente alle vicende criminali Dagmar Overbye, attiva nel primo dopoguerra danese. Periodo in cui le condizioni materiali portano al prevalere della legge della sopraffazione e dell’indifferenza, aggravata da una società in ginocchio dopo la tragedia europea.
La narrazione segue la giovane Karoline, in attesa del ritorno del marito dal fronte, la quale si ritrova incinta e senza lavoro. Al culmine della disperazione trova conforto in Dagmar, che si occupa di trovare una famiglia ai bambini che le vengono affidati. Ma la donna nasconde un segreto terribile…
Se la fotografia di un bianco e nero elegante e contrastatissimo, i giochi di luci e ombre e le inquadrature espressioniste si rifanno all’horror, la colonna sonora elettronica rende ancora più palpabile la tensione di una storia che dall’iniziale realismo scivola velocemente nell’incubo: un abisso nero in cui i visi si deformano in maschere grottesche, sottolineando il dolore dei viventi e la sofferenza dell’esistenza.
Il film non risparmia colpi bassi – in primis la sorte del marito di Karoline – e nonostante un finale luminoso e conciliatorio (in odore di impossibili sogni a occhi aperti), è difficile dissipare il sospetto della provocazione fine a se stessa. Danno quindi maggiore solidità al tutto le interpretazioni di Vic Carmen Sonne, che da vittima predestinata e carnefice evolve in una figura più complessa, e della solita gigantesca Trine Dyrholm.
Magnus Von Horn ci offre un viaggio arduo da sopportare ma anche onesto nel suo non fare sconti a nessuno, persino a un personaggio come la figlia di Dagmar. L’idea che il film sia un atto di accusa contro la miseria umana e i suoi mostri, e quindi un appello all’empatia, rende più facile perdonare anche gli eccessi programmatici di un’opera livida sin dalle prime immagini, terribili, disturbanti e insieme affascinanti.