Rendiamo omaggio a uno dei classici dell’horror, un film dalla lavorazione turbolenta, segnata da eventi tragici che diedero vita al mito della “maledizione del film”.
Il film nasce da un’idea di Steven Spielberg, al tempo sotto contratto con la Universal per dirigere E.T. Secondo le clausole non poteva firmare altre opere, così decise di produrre Poltergeist, affidandone la regia a Tobe Hooper, autore di Non aprite quella porta.
Numerosi membri della troupe raccontarono che Spielberg fosse costantemente sul set, dando direttive, scegliendo inquadrature e gestendo il ritmo delle scene. Il dibattito su chi abbia davvero diretto il film è ancora acceso, ma Poltergeist reca l’impronta stilistica di Spielberg, dalla regia fluida al montaggio serrato.
Tra le tante dicerie che alimentarono il mito fu quella relativa alla scena della piscina piena di fango e cadaveri: furono usati veri scheletri umani al posto di quelli in plastica, per ragioni di budget. Craig T. Nelson e JoBeth Williams (i genitori nel film) raccontarono di averlo scoperto solo dopo le riprese.
Ma ciò che ha davvero fatto la differenza nella resa di Poltergeist è stato il lavoro sugli effetti speciali, innovativi e artigianali allo stesso tempo. Tutto fu realizzato con un mix di tecniche classiche come fili invisibili, riprese al contrario, modellini e sovrapposizioni ottiche.
Un esempio è la sequenza dell’armadio che inghiotte Carol Anne: un congegno meccanico combinato a luci stroboscopiche, fumo e aspiratori nascosti. Gli spiriti che scendono dalla scala luminosa? In realtà ballerini avvolti in tessuti iridescenti, filmati e poi moltiplicati in post-produzione. E la scena in cui un uomo si guarda allo specchio e si strappa il viso? Un manichino animatronico manovrato a mano – da Spielberg stesso, tra l’altro – in una delle sequenze più forti del film.