Pietro Marcello ce lo ricordiamo tutti – più o meno, credo – per Il passaggio della linea, La bocca del lupo, Bella e perduta, Martin Eden. Ecco, con quest’ultimo film, che grande successo ha riscosso anche grazie all’interpretazione di Luca Marinelli, il nostro regista preferito appassionato di recupero di materiale d’epoca e sua integrazione in pellicole girate per l’appunto in pellicola, è diventato un autore istituzionale, non si sa quanto per scelta o per elezione altrui.
Le vele scarlatte, accolto non proprio trionfalmente a Cannes e caduto alquanto nel dimenticatoio – debacle totale al box office – rappresentano il primo passo che ha portato a questo Duse, primo tradizionale biopic di Marcello, ovviamente dedicato a Eleonora Duse, l’attrice che ha segnato una pagina indelebile e fondamentale del teatro italiano del Novecento.
Il film dunque è il più classico dei biopic, un po’ melodramma un po’ romanzo storico, che racconta (ancora una volta!) gli ultimi anni di carriera della Duse, la Divina, a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, seguendone il tentativo di resurrezione sulle assi dei palchi del teatro, in un gioco pericoloso contro la malattia, per terminare con l’affermazione di Mussolini al governo e l’avvio della Seconda Guerra Mondiale. Nel mezzo il tormentato rapporto con Gabriele D’Annunzio e quello con la figlia, rigettato a favore dell’amore per l’arte, vera necessità vitale per la protagonista, l’incontro e il rapporto ambiguo con Mussolini e il fascismo, il desiderio di morire sul palco.
Chi meglio di Valeria Bruni Tedeschi poteva interpretare la Duse? Forse mille altri nomi, ma è indubbia l’ottima prova dell’attrice-regista, la quale sfoggia l’ennesima variazione sul personaggio che da molto tempo porta in scena nella maggior parte delle opere cui partecipa: la sua Duse è infervorata, fragile, volitiva, ambivalente, istrionica, esaurisce praticamente tutto il campionario recitativo di chi la incarna, sinceramente dedita e appassionata al ruolo. Sullo sfondo, o meglio accanto a lei, si segnalano Noemie Merlant, nelle vesti della figlia, e Vincenzo Nemolato, in quelle di un attore della compagnia della Duse, ma tutto il cast è in realtà da premiare.
E allora cosa non va in questo film che si avvale di scenografie da lasciare a bocca aperta, tra palazzi e piccole residenze, suggestivi scorci veneziani, la solita fotografia vintage in pellicola, un montaggio in qualche caso creativo, un uso – un po’ retorico e ormai consueto – dell’elettronica fuori contesto, molti momenti divertenti soprattutto grazie alla verve di Bruni Tedeschi?
Molto semplicemente che, nonostante la qualità e per quanto voglia parlare di morte degli ideali, desiderio di rinascita, redde redationem all’orrore della storia, Duse non si discosta poi molto dalla retorica, dalla struttura narrativa, dalle finalità pratiche di un qualsiasi biopic un po’ paludato di Mamma Rai.
Marcello ha il suo bel daffare con le miniature dei soldati in apertura di film, e i diorami a punteggiare i capitoli, a instaurare paragoni con la situazione presente e la futura. Purtroppo Duse nasce morto – e non perché rappresenti la morte di un’epoca – se non nella carne cinematografica quanto meno nello spirito, e nonostante si agiti tanto, mostrando i muscoli dell’esperienza di un regista di grande livello, si fa molto fatica a scrollarsi di dosso la sensazione di un progetto su commissione, un buon prodotto di intrattenimento culturale, arricchente, edificante ma desolatamente privo di una vera ragione di esistere se non come omaggio archivistico a una figura storica del teatro italiano.
Un film di aurea mediocrità, che speriamo vada bene in sala per consentire a Marcello di intraprendere progetti più sentiti, personali, sfidanti e originali.