Seconda prova alla regia per i fratelli Philippou, che dopo Talk To Me, ribadiscono la loro idea mediana di un horror a cavallo tra il cosiddetto “elevated” e… qualunque fosse il nome del genere prima dell’invenzione di questa etichetta/trovata di marketing.
Contrariamente all’opinione prevalente, il sottoscritto non era stato particolarmente impressionato dal primo film della coppia, un’opera che partiva lancia in spalla, forte anche di uno spunto originale e di una certa abilità nella messa in scena delle sequenze più tese, ma che arrivava al traguardo ansimante come un cavallo spompato. Colpa anche di una metafora spiegatissima – l’abuso di sostanze e relativa dipendenza sovrapposto all’evocazione e alla possessione spiritica – che esauriva velocemente il proprio potenziale.
Bring Her Back riprende le fila teoriche di quel discorso, andando a innestarsi su un paio di filoni tra i più battuti dal cinema horror negli ultimi: la reazione al lutto e la preparazione di un rituale magico. Senza sbilanciarci troppo potremmo citare Hereditary come il padre più nobile di questo film, che ovviamente non ne raggiunge la grandezza, anche (ma non soltanto) per una vocazione più commerciale, di maggiore intrattenimento e quindi una certa perdita di profondità.
Dopo la morte del padre il 17enne Andy e la sorellina Piper, quasi completamente non vedente, vengono adottati provvisoriamente da Laura, in attesa che il ragazzo arrivi alla maggiore età e possa prendersi cura di Piper. La donna, che ha già adottato un ragazzo muto di nome Oliver, sembra nutrire una spiccata preferenza per Piper e presto mostra di stare escogitando qualcosa che prevede la separazione dei due fratelli.
Ai Philippou di certo non manca il talento visivo e la mano salda nella gestione della tensione, ma forse farebbero meglio a dotarsi di un buon sceneggiatore. Se già Talk To Me peccava in didascalismi e accennava a una mitologia mai esplorata a sufficienza, Bring Her Back è certamente più sottile ma non gli mancano cadute di tono – esempio: una videocassetta (ottimamente realizzata, peraltro) che descrive, con tanto di didascalie, il rito – e in generale nell’affrontare il tema del lutto si ferma alle basi.
Colpisce infatti la schizofrenia di un film molto coraggioso per quel che mostra – scene estremamente spiacevoli e disturbanti ai danni di giovanissimi – ed abile nella messa in scena delle sequenze più efferate, ma che nella costruzione dei personaggi, delle loro motivazioni e delle vicende che li vedono protagonisti sceglie la via più semplice, facile, banale. Due piccoli esempi, passibili di spoiler, sono la figura del padre oppure la “duplicità” di Laura.
L’asso nella manica del combo è senza ombra di dubbi Sally Hawkins, attrice il cui talento è arcinoto, che riesce con l’unica arma della recitazione a infondere sfumature e credibilità a un ruolo che parrebbe fuoriuscito da un generico slasher anni ’90. Meno interessanti gli altri, per quanto Jonah Wren Phillips meriti una menzione d’onore per come renda inquietante e spaventoso quello che è forse il (non)personaggio chiave del film.
Al fondo di Bring Her Back c’è una questione vecchia quasi quanto il cinema stesso, che ognuno può sciogliere come ritiene meglio, e che modifica parecchio la valutazione e l’opinione attribuibile al film. Un horror – qualunque cosa voglia intendersi con tale etichetta – ha il solo fine di inquietare, impaurire, sconcertare, disturbare lo spettatore, oppure tali emozioni, assolutamente preziose anche perché non così facilmente ottenibili, sono fini a se stesse e quindi da svalutare se non concorrono a creare un’emozione, un pensiero, una sensazione più ampia e duratura?
In sostanza, quello dei Philippou è uno sguardo estremo, che incide una ferita, o un esercizio di cattiveria (godibile, per i patiti) ma nulla più? Personalmente chi scrive propende per la seconda opzione, nondimeno si deve ammettere che almeno una sequenza gli rimarrà a lungo impressa. È proprio il resto del film che non ci appare così memorabile…
🎬 BRING HER BACK – TORNA DA ME
🏷 in sala dal 30 luglio con Eagle Pictures
🎥 diretto da Danny & Michael Philippou